i “Faroti” iniziarono a costruire le proprie dimore vicino al loro luogo di lavoro formando prima dei gruppi di case, le quali in seguito si trasformarono in veri e propri borghi e ancora con lo scorrere dei secoli, presero le connotazioni degli attuali villaggi. Il mare, all’epoca molto pescoso, offriva un’ottima fonte di guadagno per i pescatori, mentre le terre poste attorno al lago Faro davano lavoro e sostentamento ai contadini.
In antichità dunque, pochi sobborghi si estendevano lungo le nostre coste; in periodi di tempo non esattamente precisati, Capo Peloro fu popolato da sporadici pastori, contadini e pescatori provenienti dal Casale di Faro, e fu terra di rifugio per soggetti “indesiderati”: le condizioni ambientali della zona (per molti anni malsane soprattutto in prossimità dei laghi, come ho in altri paragrafi illustrato) fungevano da “garanzia” per essi, che quivi poterono meglio rifugiarsi e nascondersi.
Secondo la tradizione, l’origine del villaggio di Torre Faro fu dovuta ad un tal Annibale Longo, originario di Torre del Greco che nel 1592, che, fuggitivo dalla Campania in quanto ricercato per aver ucciso un prete, trovò rifugio presso la nostra terra, divenendone così il primo abitante stabile; le sue primarie fonti di sussistenza erano pesca e caccia e, successivamente, amministrò presso la terra ferma la “Turris Recens” (o “Torre Estrema”) con la quale poteva fornire costantemente riferimento luminoso ai naviganti di passaggio nel canale durante l’oscurità notturna.
Pare infatti che i primi insediamenti in questo nostro territorio sfruttassero l’illuminazione di rudimentali punti di “segnalazione” ai naviganti ma ne spostassero l’ubicazione, allo scopo di disorientare e far incagliare presso le nostre spiagge le imbarcazioni che nelle ore notturne transitavano nello Stretto e, così, depredarle. Di conseguenza in tempi successivi, la popolazione farota veniva ironicamente definita dalle comunità limitrofe “’ì Spogghiavelièri”. Il Longo praticò dunque quest’attività dirigendo da terra i bastimenti in transito nello Stretto, sfruttando le conoscenze e la pratica maturate in queste acque dando probabilmente origine al “pilotaggio organizzato” nello Stretto.
Come sopra accennato, l’incremento della popolazione del nostro territorio fu successivo a quello di Faro Superiore; precisa Mons. Francesco Alizio nel suo libro Un paese distrutto che Faro Superiore fu battezzato dagli antichi Casale di Faro, e fu considerato come “capoluogo”; infatti per secoli vantò questo raro privilegio, che tutti i governi che si sono succeduti hanno sempre rispettato accordandogli l’importante supremazia su tutti i villaggi che gli facevano seguito, destinandolo a sede notarile ed a sede di Conciliazione, e acendo dipendere da questo i villaggi sorti successivamente di Torre Faro, Ganzirri, S. Agata e Curcuraci.
Quando in seguito fu fondato il nostro villaggio che si chiamò Torre Faro, al Casale di Faro, che topograficamente sorge in collina (ad un’altezza quindi superiore rispetto a Torre di Faro), fu aggiunta la parola “Superiore”, per cui il paese si chiamò Faro Superiore.
Il Casale di Faro deriva il proprio nome dai coloni greci “Farli”, i quali lasciarono Messina per stabilirsi sulle collinette peloritane; qui coltivarono viti ed alberi da frutto grazie al clima propizio. Secondo alcuni invece, la denominazione del paese è dovuta ai “Phari”, stirpe greca della città di Pharis, giunta presso queste colline dalla loro patria in Laconia. Torre Faro si scisse poi da Faro Superiore nell’anno 1747, Ganzirri nel 1819 e S. Agata nel 1883; tuttavia, l’amministrazione ecclesiastica dei villaggi si confermò ancora a lungo “obbligata” al vecchio capoluogo: per volontà degli arcivescovi di Messina infatti, le chiese costruite nei paesi limitrofi dovettero pagare un canone annuo come segno di sudditanza alla parrocchia principale.
Tutt’oggi è possibile constatare quanti sono i cognomi in comuni tra i villaggi della riviera, con quelli di Faro Superiore. I Mangraviti di Ganzirri (di cui l’origine del loro cognome va ricercata nel termine “Monglovite” che, al tempo dell’impero bizantino significava “guardia di palazzo armata di scudo e spada”), gli Ingegneri (da “inventore” e costruttore di “macchine” varie e opere in muratura, oltre che architetto) e Denaro (da “di Naro”, dove la preposizione rafforza la relazione di provenienza) sono inoltre diffusi sia a Torre Faro che a Faro Superiore, a confermare che si tratta di famiglie con origini comuni.
Tutti i nati e battezzati nei villaggi della riviera venivano registrati nella parrocchia madre e così riscontrano i relativi “certificati di morte” e di “matrimonio”.
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