È definita “nassa” una trappola per i pesci: questa infatti, è realizzata in maniera tale da catturare la preda che, una volta entrata al suo interno, non può uscire.
Tradizionalmente, la nassa era realizzata in “giunco” (dettu “jùncu”) e verga d’ulivo (detta “vìgga d’alìvu”) che, in Torre Faro e Ganzirri crescevano abbondantemente, presso le sponde dei laghi e nelle campagne circostanti.
La realizzazione delle nasse era un lavoro d’abilità: il giunco essiccato e la verga ammollata venivano intrecciati dai “tessitori”, che in pochi giorni di lavoro completavano il mestiere.
Le dimensioni delle nasse sono relative al tipo di pesce da pescare: per quelli di piccola taglia (viriòle, buddàci e làppiri), queste hanno forma di “cesta ovoidale” con aperture centrali circolari e “punte” acuminate che impediscono alla preda di poter uscire. La loro profondità è di circa 30 cm e si adagiano (grazie alla “zavorra” di un peso opportunamente fissato) a poca distanza dalla battigia e in prossimità degli scogli; per i pesci di grossa taglia (e per granchi, aragoste, seppie, ecc.) e di “alto fondale”, la nassa assume forma e dimensione assai differenti, cioè “a campana” e profonda circa 2 m.
Il signor Giuseppe Denaro (dettu “ù Caddìddu”) è stato l’ultimo “tessitore” di nasse vissuto in tempi moderni.
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